…sul Partito democratico

II dibattito sul partito democratico ha qualcosa di lezioso e irritante. Ora l’uno, ora l’altro di quelli che dovrebbero essere i protagonisti del percorso democratico di costruzione del nuovo soggetto politico rallentano, poi accelerano poi di nuovo rallentano il proprio passo e così via, per chissà quant’altro tempo. Interpretare tale atteggiamento schizofrenico come una mera lotta di potere e per il potere è insufficiente, fuorviante e non coglie le inerzie insite in un processo che è prima di tutto un percorso culturale.
I dati elettorali, oltre che la communis opinio, non danno adito a tentennamenti ed incitano a fare presto e ad andare avanti comunque, anche se i nodi sono più complessi ed intricati di quanto si voglia comunemente riconoscere.
In definitiva, senza innamorarsi astrattamente delle formule, il PD altro non è che il tentativo di semplificazione delle dinamiche interne allo schieramento di Centro-sinistra ai fini dell’evoluzione in senso compiutamente bipolare del nostro sistema politico, con l’aspirazione malcelata che analoga semplificazione avvenga nello schieramento di Centro – destra in modo da imporre un confronto fra due grosse formazioni politiche, entrambe responsabili dell’esercizio rispettivo di compiti di governo o opposizione.
Tuttavia l’alternanza di governo tra un partito progressista e uno conservatore impone l’adozione di un sistema elettorale come quello inglese, appunto, che inibisce la concorrenza di forze intermedie e in genere assicura a chi vince un numero consistente di seggi. Questa prospettiva, pur auspicabile è a mio avviso poco attuale.
Un dato è però incontrovertibile. Fin quando regge l’appello antiberlusconiano si rafforzano le ragioni dello stare insieme. Quando questo si affievolisce, o non occupa più la prima pagina dell’Agenda politica quotidiana, rinverdiscono – è cronaca di questi giorni – presunte rendite di posizione, tentativi maldestri di differenziazione e appelli alla differenziazione. Tutto questo evidenzia bene la debolezza di una formula che è solo di laboratorio.
Il Partito democratico, non è retorica, deve davvero nascere sul terreno della “ricomposizione delle grandi culture democratiche” come meglio di me è stato detto.
Il vero sostrato comune, non è l’indifferenziato ed abusato riferimento al “riformismo”, ma piuttosto l’idea che la socialdemocrazia e la lunga stagione del cattolicesimo democratico hanno convissuto e lottato nel quadro di una dialettica che muoveva, comunque, da un’obiezione storica sui limiti intrinseci del liberalismo. D’altronde dopo la caduta del Comunismo, lo stesso Magistero della Chiesa si pone senza incertezze come critica delle distorsioni ed insufficienze del liberalismo economico. Questo è un punto significativo.
È in questo mutamento che si colloca la sfida dei cattolici democratici italiani, la sfida della Margherita, la scommessa di un Partito Democratico nel nostro paese che sappia e cerchi di forzare forme e contenuti della politica per fare rivivere radici e valori solidi in un tempo di continuo cambiamento. È un traguardo dai volti molteplici e che risponde senza alternative credibili alla richiesta pressante di rigenerazione dal basso della politica italiana.

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