Una passeggiata virtuale a Montecelio

Disteso su una dolce collina, Montecelio è un piccolo e piacevole paese a pochi chilometri da Roma, ricco d’antichità; alcuni reperti che risalgono al VI secolo a.C. vogliono documentare che in questo luogo sorgeva l’antica Corniculum, città domino dei Colli Cornicolesi che diede i natali alla principessa Ocrisia, madre del sesto Re di Roma, Servio Tullio.

Lo studio del passato vuole che quando i Romani s’impadronirono del territorio, Ocrisia rimase vedova; il marito Tullio morì per difendere la sua città e come era nella tradizione romana, la principessa, pur se di stirpe nobile, fu resa schiava e, malgrado fosse nell’attesa di un bimbo, fu portata a Roma per essere affidata, come serva, a Tanaquilla, moglie del Re Tarquinio Prisco; fu trattata con il riguardo che la sua casata richiedeva ma essendo una “preda” di conquista dei vincitori, la libertà le fu sempre negata.

Al bimbo che nacque, fu messo il nome di Servio (in quanto figlio di una serva) Tullio (per tramandare il nome del padre e della stirpe).

Il sangue nobile e la grande intraprendenza di Servio Tullio ne fecero il pupillo del Re Tarquinio Prisco tanto da essere proposto come marito della figlia, prima, e sesto Re di Roma, poi, quando, impadronitosi del potere con una rivolta di palazzo, successe proprio al suocero Tarquinio Prisco che era stato assassinato.

Ma la storia del paese non finisce qui.

Intorno all’anno mille, il piccolo borgo formato da un pugno di case che circondavano la Rocca costruita dai Crescenzi, inglobando i resti di un tempio romano del I secolo a.C., fanno del posto una posizione imprendibile per una serie di strettoie e di porte fortificate che conducevano alla cima ed un presidio strategico tra Roma e l’Abruzzo.

La cittadina cambiò nome e divenne Monticelli (da piccoli monti o piccole alture sulle quali sorgeva il paese) e si trasformò in un vero borgo medievale dotato di Rocca nella quale abitava il Signore, di una cinta muraria a difesa del borgo e di una serie, sempre più numerosa di case, al servizio, e da contorno, alla Rocca; i territori intorno, che dalla parte nord arrivavano fino a Roma, dominavano la vallata ed appartenevano alla famiglia Cesi che li mantenne fino alla fine del 1600; per poi passare ai Borghese.

Oggi della Rocca, già molto rovinata dalle prime bombarde e dai fulmini e già abbandonata all’epoca di Federico Cesi (1600), rimangono: il passaggio originario, una parte della torre pentagonale del palazzo medievale e un piccolo resto della cappella privata del Signore che, ancora, mostra i tufi dell’antica Roma; all’epoca, la Rocca, dominando la cinta muraria, permetteva di spingere lo sguardo molto lontano ed evitare così brutte sorprese, oggi consente una splendida veduta panoramica di verdeggianti colline che sembrano perdersi all’orizzonte.

I Cesi era originari dell’Umbria, tra Terni e Narni ed ebbero parte eminente nella vita della Chiesa, e particolarmente i Cardinali Paolo Emilio, protonotario apostolico e Federico famoso giurista e cultore delle arti; fra i numerosi possedimenti di proprietà avevano scelto come residenze abituali un palazzo a Todi e uno splendido palazzo, arricchito da una pregevole collezione di statue romane, ai portici di Borgo Vecchio a Roma, di fronte a San Pietro.

Il palazzo romano fu costruito nel 1502 da Paolo Emilio Cesi, sotto il papato di Leone X; in questo palazzo Paolo Emilio diede inizio ad una splendida collezione di statue romane che il figlio Federico, sotto il Papato di Paolo III Farnese, incrementerà a tal punto da formare un vero e proprio tesoro.

Federico sarà anche il fondatore della Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti che proteggeva le figlie illegittime delle prostitute a Roma con sede presso la Chiesa oggi intitolata a Santa Caterina de’ Funari in via delle Botteghe oscure.

Con la morte di Federico il palazzo verrà venduto a Pier Donato Cesi, vescovo di Narni e a suo nipote Angelo Cesi, avvocato concistoriale che sposò Benedetta Caetani originaria di Gaeta

Quando alla fine del 1600 si estinse il ramo della Famiglia Cesi, il palazzo passò al ramo della Famiglia Cesi di Acquasparta di Federico II (1585-1630), figlio di Federico I di Acquasparta..

Il Palazzo fu decorato da grandi artisti del Manierismo e tra una sublime mescolanza di dorico e tuscanico e un gioco di stili ionico e dorico tre grandi nomi della pittura: Tommaso Laureti (che lavorò a Roma alla Fabbrica lateranense e si era formato sotto Sebastiano del Piombo), Nicolò Martinelli da Pesaro e Mastrantonio Bardi narreranno sulle pareti ad affresco la storia di Re Salomone.

Ma torniamo a Monticelli.

Quando Federico Cesi nel 1627 con tutta la sua corte desiderò passare alcuni giorni nei suoi possedimenti monticelliani e nel suo palazzo di campagna fu una gioia per gli abitanti del piccolo paese ed un vanto per i montecellesi festeggiare l’ingresso trionfale di quel personaggio così importante che veniva da Roma e che godeva di grande fama essendo il fondatore dell’Accademia dei Lincei.

In suo onore fu eretto, nell’ingresso alla piazza principale, l’Arco di Santa Maria in pietra locale, il travertino, con delle porte in legno; un’opera imponente a tributo della più nota autorità.

Federico si recò a Monticelli una sola volta perché morì poco dopo a soli 45 anni; sull’Arco è posto lo stemma con una cornacchia su tre colli ed i tre colli sono: Montecelio, Monte Albano e Poggio Cesi.

Passeggiando per il paese si respira ancora un’aria medievale: i viottoli lunghi e stretti, le scalinate, le case in pietra locale, le alte muraglie grigie, interrotte da feritoie dove par di veder sbucare ancora la punta della balestra o della freccia pronte a difendere la quiete di un paese da favola, dall’assalto del nemico.

La piazza principale, nei giorni di festa, è un brulicare gremito di gente, intere famigliole si attardano a scambiare quattro chiacchiere, come in un salotto, qualunque tempo faccia come un rito consuetudinario che si ripete come si ripetono i giorni nel volgere della vita.

Sono eleganti, i montecellesi, nello sfoggio degli abiti, delle gioie di famiglia, e dei costumi che indossano in certe ricorrenze, sono ciarlieri e il loro brusio vivacizza quella piazza severa, satura di storia, Piazza San Giovanni, in cui emergono i monumenti più prestigiosi: la Chiesa di San Giovanni, il Palazzo del Principe, la Cappella della Provvidenza che ospitava i forestieri che, ammalati, venivano a cercare conforto e aiuto senza entrare nel Paese usando la prudenza che richiedeva la condizione di salute come segno di rispetto e di riguardo verso il prossimo.

Ora la cappellina e il successivo locale costruito sopra, ospitano il museo locale che accoglie molti reperti archeologici fin dall’età preistorica, romana e tardo romana.

La più antica Chiesa di Montecelio è la Chiesa di San Lorenzo del 1700 restaurata nel 1751; sembra più una cappella che una chiesa per le sue ridotte dimensioni; contiene affreschi della Madonna col Bambino e un affresco di San Lorenzo, S. Antonino e S. Biagio; l’atmosfera molto raccolta e ricca di misticismo invitano alla meditazione e alla preghiera.

Colpiscono a Montecelio le edicole e le immagini sacre; sono numerose e di pregevole opera come l’affresco della Madonna della neve che la mano di un ignoto pittore, ma di alto talento, ha voluto immortalare sulla nuda pietra e l’affresco della Madonna del giglio (ormai completamente rovinato) legato alla leggenda che a seguito di un miracolo il giglio da secco che era, rinverdì.

Anche le fontane di ghisa hanno la loro storia; sono quattro e sono state lasciate sul posto ancora funzionanti; sono a due bracci e fino al 1925 hanno rappresentato l’unica fonte di approvvigionamento di acqua, all’interno delle mura: davanti ad esse si raccoglievano, in vivace chiacchiericcio, le donne, per riempire d’acqua le conche di rame da accomodare sul capo e, in lenta processione, rincasare per adoprarsi ai loro semplici mestieri.

Lavori in ferro come candelabri, porta ceri, il commercio del legname e i tipici lavori dei campi erano le attività manuali e le occupazioni di Montecelio che nasce come borgo contadino, sviluppatosi poi tra medioevo e rinascimento seguendo molto l’architettura lineare del Quattrocento.

La pavimentazione del paese, fatta originariamente in selci bianchi per riflettere anche di notte la luminosità, da tempo è stata sostituita dal porfido che sicuramente esalta il fascino di antichità del luogo ma toglie un elemento distintivo di rappresentazione.

Il nome Monticelli durò fino al 1872 e dal 1937 fa parte del Comune di Guidonia-Montecelio.

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