Di seguito faccio seguire una breve biografia della Bhutto tratta da Wikipedia. Come sapete ieri è rimasta uccisa in un attentato.
Benazir Bhutto era la figlia primogenita del deposto primo ministro Zulfiqar Ali Bhutto e di Begum Nusrat Bhutto (di origini curdo-iraniane). Il nonno paterno fu Sir Shah Nawaz Bhutto, uno Sindhi ed una delle figure chiave del movimento indipendentista pakistano.
Ha frequentato le scuole in Pakistan, e nel 1973 si è laureata in scienze politiche presso l’università statunitense di Harvard. Si è trasferita in seguito ad Oxford per un’ulteriore laurea in politica, filosofia ed economia. Non ancora ventenne, aiutava il padre nel suo lavoro in qualità di assistente.
Dopo l’università è tornata in Pakistan e, mentre suo padre veniva assassinato per volere del generale Muhammad Zia-ul-Haq, è stata confinata agli arresti domiciliari. Quando nel 1984 le è stato permesso di ritornare nel Regno Unito, divenne leader in esilio del Partito del Popolo Pakistano (PPP) già presieduto dal padre, ma non riuscì ad avere una sufficiente influenza politica sulla vita politica pakistana fino alla morte di Zia-ul-Haq.
Il 16 novembre 1988 si sono tenute le elezioni, ed il PPP ha ottenuto il più ampio numero di seggi per un singolo partito. Bhutto è stata nominata primo ministro il 2 dicembre dopo la formazione di una coalizione di governo, essendo così all’età di trentacinque anni la persona più giovane ma anche la prima donna a divenire capo del governo di un paese musulmano in tempi moderni. È stata destituita nel 1990 dall’allora presidente della Repubblica con accuse di corruzione verso il governo, ed il suo partito ha perso alle elezioni tenutesi nell’ottobre dello stesso anno.
Per tre anni è stata a capo dell’opposizione contro il governo di Nawaz Sharif, finché nel 1993 non si è tenuta una nuova consultazione che ha visto la vittoria del PPP, e Benazir Bhutto è tornata ed essere primo ministro. Il suo secondo mandato è stato nuovamente minato dalle accuse di corruzione, che la hanno portata ad un’altra destituzione nel 1996. Non ha più potuto ripresentarsi in virtù di una legge che stabiliva per ogni candidato un massimo di due mandati.
Trascorsi così otto anni in esilio volontario tra Dubai e Londra, il suo ritorno in patria per prepararsi alle elezioni nazionali del 2008, è funestato il 18 ottobre 2007 da un attentato che ha causato 138 vittime e almeno 600 feriti. Le esplosioni hanno avuto luogo a Kariki durante un corteo di sostenitori che accoglieva l’entrata dell’ex primo ministro nella città subito dopo il suo arrivo all’aeroporto. Benazir Bhutto, su un camion blindato dal quale salutava i cittadini e sostenitori, è rimasta illesa.
Gran parte delle vittime presenti tra la folla erano membri del Partito del Popolo Pakistano, di cui la Bhutto è leader dal 1984. Il giorno seguente l’ex premier ha accusato il governo del presidente Pervez Musharraf di non aver preso provvedimenti preventivi affinché la strage, della quale era stato dato l’allarme da parte dei servizi segreti prima delle esplosioni, fosse scongiurata. Anche in mancanza di rivendicazioni da parte dei reali mandanti degli attacchi suicidi Benazir Bhutto ha dichiarato di essere certa che questi siano avvenuti per mano di un gruppo di matrice talebana e sicuramente anche di un gruppo di seguaci dell’ex dittatore Muhammad Zia-ul-Haq, autore del golpe contro il governo del padre Zulfiqar Ali Bhutto che è stato da questi deposto e condannato a morte nel 1979.
La Bhutto, però, ha trovato la morte il 27 dicembre 2007 in un nuovo attacco suicida avvenuto al termine di un suo comizio a Rawalpindi, a circa 30 chilometri dalla capitale Islamabad. Nell’attentato sono morte almeno 20 persone e altre 30 sono rimaste ferite. Il kamikaze, dopo aver esploso due colpi d’arma da fuoco contro la Bhutto, si è fatto esplodere all’ingresso principale del luogo dove si erano radunate migliaia di persone per assistere al comizio. Trasportata immediatamente in ospedale, la leader pakistana dell’opposizione è morta poco dopo a causa della gravità delle ferite riportate nell’attentato. Il presidente pakistano Pervez Musharraf ha condannato l’attentato compiuto a sua detta da “terroristi islamici”, voce confermata da uno dei fedelissimi del numero due di Al Qaida, Ayman al-Zawāhirī, che avrebbe ordinato personalmente l’assassinio.