Rutelli al Sole 24 ore

dall’Intervista che Francesco Rutelli ha rilasciato al Sole 24 Ore di Martedì 3 Agosto 2010

Senatore Rutelli, ora che la crisi politica è conclamata, serve subito una crisi parlamentare?

La sostanza della crisi di oggi risiede nel fatto che questa coalizione ha resistito appena 6 mesi in più dell’Unione guidata da Prodi. Questo è l’evento politico enorme e inaspettato. Ed è anche il grande paradosso di questa maggioranza che si è presentata compatta, con numeri ampi e confortevoli e con un leader sicuro ma che ora si trova nelle stesse condizioni in cui era l’Unione: un’alleanza che andava da Mastella a Diliberto. Nessuno avrebbe detto – all’indomani delle elezioni del 2008 e delle stesse regionali di qualche mese fa – che avremmo letto di nuovo sui giornali di campagne acquisti per garantire i numeri a Berlusconi, come succedeva per impallinare il nostro Governo al Senato. E invece è accaduto. Questo è il vero punto.

La fine del bipolarismo.

Il fatto storico è la certificazione della fine di un ciclo politico durato 16 anni. Questa è più che una crisi di Governo. È l’incapacità di un sistema – nonostante un leader forte e numeri parlamentari rassicuranti – a esprimere maggioranze omogenee. Su questo serve un confronto di verità.

Si esce dall’impasse con un governo del presidente come lei aveva pronosticato nel suo libro “La svolta”? Qual è la difficoltà?

Che un nuovo governo lo si deve fare in accordo con Silvio Berlusconi. È lui che ha vinto le elezioni ma è evidente che il premier non sceglierà questa soluzione. La crisi dell’assetto bipolare più che operazioni di Palazzo – destinate a breve vita – o soluzioni bricolage, ci deve portare oltre. A una nuova stagione in cui si prenda atto della scomposizione del quadro attuale e si inneschi una vasta ricomposizione politica. Occorre premere il tasto reset al sistema.

Quindi la scommessa è nella scomposizione di Pdl e Pd?

Quando Fini, co-fondatore del Pdl ma anche coautore della Bossi-Fini esce dal filone della destra sui temi dell’immigrazione e scavalca parti del centro-sinistra sull’antiberlusconismo, è evidente che c’è una scomposizione irreversibile del centro-destra. Così come la candidatura di Vendola e l’annuncio di Grillo di volersi candidare alle elezioni politiche, ridisegnano già nei fatti la mappa geografica della sinistra. Il partito di Di Pietro sarà ulteriormente trascinato su posizioni estranee alla cultura di governo nella sua rincorsa al grillismo. Per il Pd, già in una condizione minoritaria, la strada del centro-sinistra si fa ancora più stretta.

Appoggerà un governo di transizione?

L’unico vero obiettivo di un governo di transizione sarebbe quello di portare il Paese a elezioni cambiando la legge elettorale. Questo è un passaggio chiave. È il premio di maggioranza introdotto nel nostro sistema ad aver creato la grande illusione di maggioranze stabili. Dunque, l’eliminazione di questo meccanismo è una priorità perchè è stato adottato come stabilizzatore dei governi e invece si è rivelato il più grande de-stabilizzatore. Ha infatti dato un’apparenza di solidità creando numeri rassicuranti in Parlamento che però si rivelano – come si vede oggi – effimeri perchè dietro non ci sono nè coalizioni nè perfino partiti omogenei. Ciascun polo continua ad avere in sè i suoi estremi che impediscono le riforme: il giustizialismo a sinistra, il leghismo secessionista a destra.

Un ritorno al proporzionale è la via?

Il modello elettorale più razionale è quello tedesco che porterebbe al massimo 5, 6 partiti in Parlamento. A quel punto le alleanze si potranno determinare solo tra chi ha cultura e capacità di governo.

È l’approdo del terzo polo con Fini, Casini, Montezemolo?

È presto per dirlo. I cambiamenti e gli assestamenti sono appena iniziati. Ma più che di un terzo polo, penso ci sia bisogno di un nuovo polo che nasca sulla base di quell’agenda delle cose difficili da fare e si candidi a diventare nei prossimi anni il primo polo del Paese, liberale e democratico. Che sia capace di segnare la discontinuità, come avviene con il nuovo governo inglese Cameron-Clegg. Due leader che non somministrano placebo al Paese ma piuttosto soluzioni sorprendenti, in discontinuità con il passato. Quello che a me interessa non è un patchwork di leader e movimenti ma trovare una alleanza che si unisca sulle cose difficili da fare. Dopo il populismo ottimistico di destra e la ricetta decotte di sinistra, immagino una forza che sappia far diventare popolari le riforme impopolari.

Se sulla mozione Caliendo ci sarà un identico comportamento dell’Api, Udc e finiani, sarà di fatto la nascita di un nuovo polo?

Domani (oggi, ndr) si riuniranno i nostri deputati per decidere. Di certo, non dovremo cadere in trappole che possano portare a un precipizio politico.

Si parla anche di un Governo Tremonti.

Non entro nel toto-candidature. Cominciamo, invece, a costruire le condizioni per questa ricomposizione di partiti e progetti politici unendo persone con tradizioni culturali diverse. È già possibile. Ora che Berlusconi è costretto a una navigazione a vista e sa che il voto lo porterebbe a una posizione peggiore – con una Lega dominus di un futuro governo, nell’ipotesi in cui tornasse a vincere – siamo già nelle condizioni di interpretare una nuova stagione. E scrivere l’agenda delle cose difficili che sono indispensabili a un Paese che non può crescere dello 0,3% all’anno. Parlo di riforme della giustizia, attenzione strategia alle Mpi – micro e piccole imprese – di programmi anti-ciclici di opere pubbliche diffuse, di liberalizzazioni.

Dov’è il difficile?

Le riforme vere sono difficili. Lo è il taglio degli aiuti a pioggia alle imprese, l’accantonamento di opere pubbliche inutili, la messa a punto di una piattaforma sulla giustizia in cui si accetta la spersonalizzazione dell’ufficio del Pm e l’abbandono delle leggi ad personam. E lo sono liberalizzazioni che incidano sulle corporazioni o la separazione della rete gas.

Il sì del suo gruppo alla riforma dell’università è una strizzata d’occhio a Berlusconi?

No, è il voto convinto a una buona riforma, che abbiamo migliorato e su cui ora occorrono le risorse per farla funzionare. È l’anticipo di una strategia che svilupperemo: non di partecipare al bricolage politico ma spingere sulla discontinuità e riforme necessarie al Paese.

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